Mission: Impossible – The Final Reckoning ha incarnato l’essenza dello spettacolo d’azione sul grande schermo proseguendo questa tradizione. Ethan Hunt (Tom Cruise) si confronta con la minaccia più astratta e onnipotente mai affrontata: “l’Entità”, un’intelligenza artificiale introdotta nel precedente capitolo. Questo ottavo film si distingue per il tono estremamente serio e melodrammatico, abbandonando in parte l’ironia e l’autoconsapevolezza dei predecessori. Il cast — composto da volti noti e nuovi ingressi — adotta un registro recitativo e solenne, riflettendo l’enfasi apocalittica della sceneggiatura. La scena iniziale, in cui Ethan riceve la sua missione attraverso un metodo analogico, a causa dell’infiltrazione digitale dell’IA, è una trovata arguta, ma il film si impone con un messaggio cupo e carico di gravità. Ogni dialogo sembra voler sottolineare la fine imminente dell’umanità, rendendo la narrazione pesante e a tratti ridondante.
Uno dei problemi centrali del film è la posta in gioco: la salvezza dell’intero pianeta è così ampia da risultare quasi astratta, privando il film di un conflitto tangibile e credibile. A differenza di minacce più concrete come bombe nucleari o virus letali, l’idea di un’IA maligna onnipotente suona eccessivamente vaga. Nonostante il titolo suggerisca un epilogo definitivo, il film non chiude realmente il cerchio. Molte porte, restano aperte smentendo implicitamente la promessa di un finale. Christopher McQuarrie, alla regia e co-sceneggiatura, approccia il film come un “Endgame” del franchise, rievocando eventi e personaggi di tutti i sette capitoli precedenti. Questo processo mitizza Ethan Hunt oltre misura, trasformandolo in una figura quasi messianica. Tuttavia, la narrazione risulta appesantita da un primo atto lento, ridondante e pretenzioso. Più interessato a costruire un culto della personalità attorno a Cruise che a offrire un intrattenimento avvincente.
Mission Impossible – The FinalReckoning dal punto di vista spettacolareoffre ancora momenti di grande cinema d’azione, specialmente in due sequenze estese ambientate sott’acqua e in volo. Tuttavia, rispetto ai capitoli precedenti, manca quel senso di divertimento e meraviglia ironica che da sempre caratterizza il franchise. L’autoconsapevolezza, la battuta complice al pubblico qui sembra del tutto assente. La serietà e la solennità finiscono per soffocare il piacere del racconto. Nonostante il ritorno di numerosi personaggi chiave e l’introduzione di volti come Hannah Waddingham e Trammell Tillman in ruoli ben calibrati, il film soffre di una trama semplice allungata fino a 170 minuti. Se da un lato Cruise continua a dimostrare una dedizione straordinaria al ruolo, dall’altro il film sembra perdere il contatto con ciò che ha reso Mission: Impossible un fenomen. L’equilibrio tra adrenalina, leggerezza e credibilità si perdono in un addio incerto da un’icona dell’action moderno.
Adele de Blasi