Mostra del Cinema di Venezia 76 : Ema

Se dovessimo dire un tema che sembra collegare molte delle proiezioni di questi primi giorni di festival non esiteremmo a scegliere quello gigantesco che riguarda il femminile, declinato nel particolare a storie di maternità e separazione, lotta e rivendicazione identitaria. Dopo la visione di Ema, film in concorso del regista cileno Pablo Larrain, quest’impressione non può che acuirsi e segnare un culmine di bellezza difficilmente raggiungibile.

La travagliata storia d’amore di Ema (Mariana Di Girolamo) e Gaston (Gael Garcia Bernal), reduci dal disastroso fallimento dell’adozione del piccolo Polo, è lo spunto narrativo che Larrain utilizza per riflettere sulle forze selvagge che animano i nostri corpi, sulla vita come pura miscela di istintualità e piacere, sul folle desiderio e la tragica incapacità di amare chi vorremmo ci amasse a sua volta. Entrambi danzatori ma separati da un’opposta concezione dell’arte, Ema e Gaston si sfidano a ferirsi, incapaci di vivere le loro esistenza se non attraverso la continua performance, lo scontro verbale e lo slancio fisico, danzando per le strade al ritmo della loro solitudine. Ema è un’opera dalla carica espressiva spiazzante, un balletto potente e irruento, fortemente autoriale e pervaso da una forza animale che invita allo sporco, al sudore della pelle e all’orgasmo della carne. “Bruciare per seminare” dirà Ema quando arriverà a mettere a punto un subdolo piano per riavere l’amato Polo, esprimendo al contempo nel più lapidario dei termini quella che sembra essere l’energia ispiratrice dell’autore di Jackie; bruciare per creare, ardere di un fuoco travolgente e liberatorio che nelle sue fiamme avvolge tutto ciò che incontra, l’arte come la vita, il sesso come l’amore.

Musiche da urlo e un ritratto femminile affascinante come pochi, Ema scuote la Mostra.

La redazione

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Author: Adele De Blasi

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